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DonatoBramante    
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ADRIANO CECIONI


Adriano Cecioni, nacque nel 1836  a Firenze e morì improvvisamente nel 1886,  teorico e critico d’arte, fu il solo artista dell’800 italiano per il quale il concreto operare si pone continuamente in relazione con una concezione teorica intesa a giudicarlo. Si può dire che egli conducesse all’estremo, sia nelle opere che nel pensiero, le posizioni e le contraddizioni implicate nel movimento realista intorno agli anni ’60. Cecioni ebbe un esordio classico e purista alla scuola d’Aristodemo Costoli all’Accademia di Firenze, dove probabilmente apprese ad affrontare temi concettualmente elevati secondo l’uso accademico gravando l’immagine artistica di valori teorici e filosofici. Il ’59 vide Cecioni volontario sui campi da battaglia risorgimentali, dove conobbe Signorini. Dopo questo incontro egli cominciò a cercare anche per la sua arte, scultura, l’applicazione di quei principi che venivano discussi al Caffè Michelangelo. Quattro anni dopo, vinto il pensionato artistico Cecioni si trasferì a Napoli, dove divenne l’animatore della “Scuola di Resina”,  insieme a De Nittis, De Gregorio e Rossano dove rimane fino al 1867 e dove modellò alcune opere tra cui nel 1865, il “Suicida”. L’osservazione dei calchi dei cadaveri di Pompei indussero Cecioni a riflettere come la vita poteva essere fissata e quasi arrestata da quella tragedia “sorpresa alla natura”; l’impressione prodottagli dal casuale drammatico verismo di quelle sculture doveva avergli fatto balenare la possibilità di raggiungere un analogo verismo operando quella “sorpresa alla natura” che egli teorizzò più tardi. Nel “Bambino col gallo” del 1868, che fece due anni dopo furore all’Esposizione di Parigi dando a Cecioni un’inattesa celebrità è evidente l’intento perseguito sul piano plastico, di operare una “sorpresa” al movimento e alla vita e quasi di scattare un’istantanea a tre dimensioni. La concentrazione artistica di Cecioni non era basata sulla formula “dell’arte dell’uomo”, ma sulla formula “dell’arte per l’arte”. Teorizzando e sviluppando l’indifferenza dell’artistica per il soggetto, Cecioni rinnegava senza accorgersene la possibilità stessa, per l’artista, di fissare il movimento della vita. Limiti individualistici del realismo di Cecioni spiegano il relativo provincialismo del suo atteggiamento. Egli ogni volta che giungeva a Parigi (1870,1871,1873) non vedeva l’ora di tornare in patria e nemmeno a Londra (inverno 1871-1872), dove si trovò a suo agio, non riuscì ad organizzarsi e a sfruttare i successi ottenuti. Spinto dall’ teoria dell’arte per l’arte e da quella del vero diretto e della “sorpresa alla natura”, Cecioni era portato a ridurre i limiti del vero e della natura all’anedotto quotidiano o alle forme elementari del vivere, sostituite dalle vicende o dagli affetti familiari. Non è un caso che Cecioni ricercasse i suoi soggetti e realizzasse le sue opere più famose nell’ambito della vita domestica. Un puttino che impara a camminare, una ragazza toscana con le mani sui fianchi, “la madre”, tra dipinti e acquarelli, un bambino che guarda con curiosità la luce di una lampadina, ragazzi che giocano, la zia Erminiaù. Ad ognuna di queste opere Cecioni affidava il compito di saturarsi i valori teorico-filosofici: quello della “sorpresa alla natura” prima di tutto, poi quello della “santità” della vita domestica, e infine della “dignità” dell’umile e del modesto.
a cura di Roberta e Alessia

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